Il tempio della nuvola bianca a Pechino

Tempio della Nuvola Bianca a Pechino

Ero a Pechino in quel freddo dicembre del 2005, e mi trovavo al seguito dell’Orchestra di Musica Classica di Lione, a quel tempo impegnata in una serie di concerti natalizi in Cina, in una tournée
che avrebbe toccato numerosi capitali di stati interni cinesi fino al Tibet. Fu per caso che mi si presentò quell’occasione, e io non me la feci fuggire. A quel tempo frequentavo la formazione biennale della mia insegnante di Qi Gong, Franca Bedin, che mi invitò, informata della mia prossima partenza per la Cina, a portare i suoi saluti all’allora Abate del Tempio della Nuvola Bianca di Pechino, una chiesa Taoista.
Quel dicembre del 2005, la capitale cinese era avvolta da una cappa di smog marroncino, che rendeva l’aria particolarmente densa e irrespirabile. Pochi tassisti parlavano inglese, ed io mi cautelavo sempre di portare con me un biglietto con la destinazione in ideogrammi, e soprattutto, l’indirizzo dell’albergo dove tornare. Scesi da solo davanti all’Ingresso del Tempio, ed era quasi orario di chiusura. Poche ore al giorno è concesso l’ingresso al pubblico, essendo un luogo di pratica e cerimonie Taoiste molto celebre.
Appena gettai l’occhi all’interno del recinto, mi accorsi di un prete vestito in abiti da lavoro, munito di scopa e paletta, stava raccogliendo di corsa, gli aghi di pino caduti a terra. Era talmente veloce, che subito non mi accorsi che pregava ad alta voce, e nel suo operare c’era un ritmo, che faceva diventare il suo lavoro una sorta di danza saltellante. Chiesi a lui mostrando un biglietto dove potessi trovare il Maestro, e dopo un attimo di esitazione, mi fece segno con la mano di dove si trovasse il suo alloggio. Quando arrivai alla porta trovai una donna con un cesto di offerte, e mi misi ad aspettare. Dopo una decina di minuti, vedi uscire il maestro che accompagnava un’atra donna anziana alla porta. Si accorse di me e dopo averla salutata, si avvicinò incuriosito. Mi salutò stringendomi la mano, e fece nel frattempo accomodare la donna che aspettava all’interno del suo alloggio, dove notavo strane statue di legno su altarini dai colori sgargianti, poi si mise a conversare con me. Gli dissi chi ero, da dove venivo, cos’ero venuto a fare, che gli portavo anche i saluti italiani di Franca e una tavoletta di buon cioccolato francese che apprezzò moltissimo, insomma, credo che la piacevole e improvvisata conversazione sia stata di almeno una decina di minuti.
Era raggiante, sembrava mi conoscesse da sempre, e con una particolare simpatia interrompeva spesso il mio inglese maccheronico con una serie di pacche sulle spalle e risate contagiose. Lo salutai stringendogli più volte le mani, e infine con l’inchino di gratitudine e le mani chiuse nel classico sigillo taoista. Lo vidi così tornare al lavoro, tanto che poi seppi riguardasse pure alcune pratiche d’esorcismo. Uscì di lì a poco anche la donna che con me l’aspettava, e i cancelli del Tempio della Nuvola Bianca si chiusero lentamente alle mie spalle prima di alzare la mano per fermare nel brulicoso traffico cittadino il primo taxi libero che da lì a poco mi avrebbe portato altrove.Tornai in Italia, e dopo qualche tempo fui informato che il simpatico Abate del Tempio della Nuvola
Bianca di Pechino non parlava una parola di altre lingue al di fuori del cinese mandarino.

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